von mas 22.01.2017 21:18 Uhr

Gennaio 1915: una lettera al Papa invocando la pace

Mentre l’Italia prepara la guerra, 274 soldati tirolesi si impegnano per la pace, invocando l’intervento di Benedetto XV    –   Il racconto di Luigi Sardi

È l’alba del 1915. E’ passato il primo, tristissimo Natale di guerra e non c’è stata quella tregua suggerita a Benedetto XV da Alcide Degasperi,  deputato al Parlamento austriaco. Ma da Trento il giornalista continua il suo impegno alla ricerca di una via per la fine delle ostilità. Sabato 16 gennaio 1915 il titolo di apertura della prima pagina di «il Trentino» è un orgoglioso «Siamo fieri del nostro popolo!».

L’articolo racconta la lettera scritta dalle trincee della Galizia e firmata da 274 soldati tirolesi, che si rivolgono a Benedetto XV invocando la pace.   Credo sia l’unico appello fatto da un gruppo di militari al fronte a chiedere la fine di quella strage: invocare la pace senza aggiungere il termine «vittoriosa» poteva portare se non a un deferimento a un tribunale militare, a dure sanzioni disciplinari; soprattutto sottoscrivere collettivamente una invocazione di tal fatta rischiava di diventare protesta sediziosa di fronte al nemico.    Di certo, dalla Russia alla Francia nessun giornale ha mai pubblicato un simile appello che arrivava dal popolo in armi.    A guerra finita  si dimenticò completamente quella lettera, si accantonarono i tentativi di pace suggeriti da Dagasperi, come si evitò di parlare della tregua di Natale proposta dal deputato al Pontefice. Ancora una volta una pagina di storia del Tirolo veniva modificata. E definitivamente oscurata.

Francamente ancora oggi, leggendo i 274 nomi – cognome, nome, paese di provenienza  con l’indicazione «di altri 59  dei quali non si potè raccogliere la firma» – si prova un’emozione, pensando che copie di quel giornale con un appello alla pace erano arrivate a Milano e Roma e in altre città dell’Italia ancora neutrale ma che si stava preparando, spinta anche dal verbo dei tribuni dell’interventismo – Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Cesare Battisti, Ettore Tolomei e Benito Mussolini – a entrare in una guerra che si sapeva tremenda.

Ma ecco l’articolo di «il Trentino», in verità non completamente leggibile.

«Il segretario del nostro Principe Vescovo ci ha rimesso per la pubblicazione la lettera che segue.   Sono due grandi fogli in carta da lettera con intestazioni russe più altri due pezzi di carta laceri e informi riappiccicati assieme colla ceralacca.       Nella prima pagina si legge il testo della lettera scritta a matita copiativa, intersecata di correzioni e che rivela quasi ad ogni periodo le condizioni straordinarie di luogo e di tempo in cui venne scritta.   Nelle altre seguono le firme autografe dei nostri bravi soldati, tracciate qualcuna a sghembo, molte altre rozzamente.   Non si può tenere in mano queste carte e leggere queste righe senza la più intensa commozione.     Sono 274 soldati che l’hanno concepita e firmata sul campo fra un combattimento e l’altro.   Da essa emana [l’angoscia] di chi sa che la morte può essere vicina.    Inchiniamoci riverenti innanzi a questo profondo atto di fede e di speranza cristiana.    Questa carta lacera, quando sarà ingiallita, sarà uno dei documenti più notevoli della nostra storia.    Rileggendola con noi i lettori del Trentino sentiranno sorgere dal cuore, spontanea la preghiera che Dio voglia esaudire i voti dei nostri fratelli.    Che ritornino sani e salvi nel loro diletto paese a continuare l’opera che con questa solenne promessa hanno inaugurata».

L’articolo non era stato toccato dalla censura:  nella città fortezza di Trento dove crescevano le privazioni e s’allungava lo spettro della fame, anche  i militari si era accorti che quella guerra era disastrosa e senza fine.   Questo l’articolo ad accompagnare la lettera datata “Galizia 2 gennaio 1915”  e indirizzata all’«Altezza Reverendissima» che era il vescovo di Trento Celestino Endrici.

Il nostro Cappellano militare ci disse che il S. Padre Benedetto XV  investigando sulle vere origini di questa luttuosissima lotta trovò queste quattro cause.  La mancanza di mutuo amore tra gli uomini. Il disprezzo dell’autorità. L’odio di classe. Il pensiero che qui su questa terra noi dobbiamo solo trovare l’unica nostra felicità che è l’amore. Noi sottoscritti del tutto volontariamente vogliamo, per corrispondere al desiderio del Sommo Pontefice, promettere a S.A. Rev.ma il nostro Principe Vescovo: di amare tutti gli uomini come Gesù Cristo insegnò e fece senza distinzione di razza sia di lingua che di classe sociale, nel vero vincolo di fratelli. Di rispettare ogni autorità come stabilita da Dio, in modo speciale l’autorità del Pontefice, del nostro Vescovo, dello Stato. Di contentarci dello stato sociale in cui ci troviamo, né di invidiare lo stato sociale degli altri cercando solo in un lavoro onesto e onorato di migliorare la nostra condizione. Di tener sempre come base d’ogni nostra attività il pensiero che la nostra meta è il cielo, che là solo dobbiamo provare la nostra vera felicità e che qui invece sulla terra, mediante i dolori e le sofferenze, dobbiamo ottenere il dono della felicità eterna»

Questo l’impegno. Poi la promessa:

“Tener sempre lontano non solo da noi quegli errori, ma anche dalle nostre famiglie; in modo speciale tenendo lontana dalle nostre case quella stampa che favorisce questi errori, quelle persone che li professano favorendo invece quelle buone società che ci aiuteranno a tenerci saldi a quelle promesse. Intendiamo in modo speciale le società cattoliche e promettiamo di amare le persone che si dedicano a queste società cattoliche, di rispettare e di ubbidire, di favorire la stampa cattolica, in una parola tutto il movimento cattolico, come Sua Altezza il nostro Capo desidera. Vogliamo che questa nostra promessa sia resa pubblica, affinché trovi molti imitatori. Ora speriamo nella grazia di una presta pace, perché il Signore avrà veduto che il castigo della guerra ha portato già in parte dei buoni frutti, cioè la nostra promessa di miglioramento. Invochiamo la benedizione di Sua Altezza».

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